9 febbraio 2016

Marchi e domain names: alcune problematiche nei rapporti di distribuzione internazionale

di lettura

Nell’ambito dei rapporti di distribuzione internazionale sono assai frequenti i conflitti tra il produttore e i soggetti che a vario titolo si inseriscono nella fase di distribuzione dei suoi prodotti (agenti, distributori, franchisee) in punto marchi e domain names.

Marchi e domain names: alcune problematiche nei rapporti di distribuzione internazionale

Ciò si verifica soprattutto quando il produttore intende entrare in un nuovo mercato - o cambiare la precedente rete distributiva operante nel territorio-, nel quale, non avendo mai operato direttamente, non si è curato di registrare il proprio marchio e/o domain name.  In tali casi, può accadere che il soggetto a cui il produttore ha affidato la promozione e/o distribuzione dei prodotti  abbia registrato a proprio nome il marchio e/o il domain name. Una volta terminato il rapporto con tale soggetto, sarà essenziale per il produttore poter disporre del proprio marchio e/o domain name.

Quale tutela ha il produttore a fronte dell'illegittima registrazione di un marchio da parte del proprio agente/distributore?

La Convenzione d’Unione di Parigi (CUP)

Uno dei primi passi intrapresi per la tutela della proprietà industriale in un ambito sovranazionale è costituito dalla Convenzione dell'Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale firmata a Parigi nel 1883. 
La Convenzione di Parigi è stata adottata da ben 176 Paesi. Tra i Paesi aderenti, oltre all'Italia, vi sono i paesi europei, Stati Uniti, Russia, Korea e molti paesi africani ed arabi. Grande assente è invece la Cina. Per elenco completo dei paesi aderenti si veda il sito http://www.wipo.int.

L’art. 6 septies della Convenzione sull’Unione di Parigi dispone: 

“ 1. Se l’agente o il rappresentante del titolare di un marchio in uno dei Paesi dell’Unione domanda, senza esserne autorizzato, la registrazione a suo nome di tale marchio, in uno o più di suddetti Paesi, il titolare avrà diritto di opporsi alla registrazione richiesta o di domandarne la cancellazione o se la legge del suo Paese lo permette, il trasferimento a suo favore di detta registrazione, a meno che l’agente o il rappresentante non giustifichi il proprio operato
2. Il titolare di un marchio avrà, con le riserve di cui al precedente alinea 1, il diritto di opporsi all’utilizzazione del suo marchio da parte del proprio agente o rappresentante, se egli non abbia autorizzato tale utilizzazione. 
3. Le legislazioni nazionali possono prevedere un equo termine entro il quale il titolare di un marchio dovrà far valere i diritti previsti nel presente articolo”.

La finalità della norma è chiaramente quella di prevenire dei comportamenti scorretti tra titolare del marchio straniero e il soggetto che nel paese di importazione si incarica di curare la vendita dei prodotti contraddistinti da tale marchio. 

Pertanto alla luce dell’art. 6 septies se l’agente ha registrato il marchio dei prodotti che promuove nel territorio affidatogli dal preponente, senza l’autorizzazione di quest’ultimo, il preponente potrà opporsi a tale registrazione provando:

  • la titolarità di un marchio registrato in uno dei Paesi dell'Unione che sia uguale o simile a quello di cui l'agente ha chiesto la registrazione;
  • la sussistenza del rapporto di agenzia (la Corte di legittimità ha ritenuto con sentenza del 17/03/2000 n. 3100 la necessità della prova della sussistenza del rapporto di agenzia al momento in cui l'agente ha provveduto alla registrazione del marchio del preponente).

Spetterà invece all'agente difendersi provando eventuali cause giustificative, come l'esistenza di un'autorizzazione da parte del preponente. A tal fine non è necessario che l'autorizzazione rivesta la forma scritta, essendo sufficiente un'autorizzazione verbale. E' tuttavia pacifico che tale autorizzazione non si può ricavare dal fatto della mera conclusione di un contratto di agenzia per la promozione dei prodotti recanti il marchio, dovendo viceversa risultare un consenso del titolare del marchio medesimo.

In considerazione della finalità dell'art. 6 septies, è stato ritenuto da parte della dottrina che tale disposizione, sebbene si riferisca espressamente solo all'agente o rappresentante del titolare, debba interpretarsi in maniera estesa comprendendo quantomeno anche il distributore. 

L’interpretazione dell’art. 6 septies da parte della giurisprudenza non è tuttavia uniforme nei vari Paesi dell'Unione.

  • In Italia, sembra prevalere un’interpretazione letterale e restrittiva della portata dell’articolo in esame ritenendolo applicabile solo ai rapporti di agenzia.
    (crf. Corte d’Appello di Miano, sez.I, 27/09/1996, Tribunale Roma 28/11/1987 che hanno espressamente escluso l'applicabilità della norma ai distributori; anche se Tribunale Ancona 14 ottobre 2008 e Tribunale Torino 6/10/1980 lasciano aperta la strada all'applicazione della norma anche al distributore).
     
  • In altri Paesi dell'Unione (ad es. Germania, Francia) si ritiene invece che l’art. 6 septies CUP si estenda quantomeno al distributore.

Il Fabbricante, che invochi la tutela dell'art. 6-septies CUP nei confronti non solo del proprio agente ma, anche, nei confronti del proprio distributore, dovrà dunque verificare l’effettiva portata dell’articolo 6 septies CUP nel paese ove è stata richiesta la registrazione del marchio. Si consiglia pertanto di tutelarsi preventivamente da ipotesi di un'illegittima registrazione del marchio da parte del proprio agente e distributore straniero prevedendo espressamente a livello contrattuale una clausola che vieti espressamente all'agente/distributore di registrare, nel proprio territorio, i marchi del preponente e/o altri segni distintivi dello stesso. 
    
Ad es. "E’ fatto divieto all’agente di depositare e/o far depositare nel Territorio o altrove, i marchi, nomi o altri segni distintivi del Preponente né altri segni distintivi che siano simili e confondibili con quelli del preponente".

Il Regolamento CE 2009/207/CE sul marchio comunitario

Il Regolamento CE 2009/207/CE contiene alcune disposizioni specificatamente volte a tutelare il titolare di diritto sul marchio contro comportamenti illegittimi di un suo agente o rappresentante (in questo caso si tratta di una nozione ampia di "agente"), prevedendo all'art. 8, comma 3, che, in seguito all’opposizione del titolare del marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione:

" se l’agente o il rappresentante del titolare del marchio presenta la domanda a proprio nome e senza il consenso del titolare, a meno che tale agente o rappresentante non giustifichi il suo modo di agire". 

  • In tali casi il titolare del diritto sul marchio potrà altresì proporre domanda di nullità del marchio comunitario registrato dal proprio agente o rappresentante (cfr. art. 53 Reg. CE 2009/207/CE). 
     
  • Inoltre, ai sensi dell'art. 11 Reg. CE 2009/207/CE, se un marchio comunitario viene registrato, senza l’autorizzazione del titolare del marchio a nome dell’agente o rappresentante di colui che di tale marchio è titolare, quest’ultimo ha il diritto di opporsi all’uso del marchio da parte dell’agente o rappresentante, senza la sua autorizzazione, a meno che l’agente o il rappresentante non giustifichi il proprio modo di agire".
     
  • Infine, l'art. 18 del Reg. CE 2009/207/CE prevede la possibilità di ottenere il trasferimento a proprio favore del marchio registrato illegittimamente a nome dell'agente 

Tale disciplina, chiaramente ispirata ai principi dettati dall'art. 6 septies CUP, è applicabile a tutti i soggetti inseriti nel sistema distributivo del titolare del marchio, dovendosi interpretare la nozione di "agente" in senso ampio, così da ricomprendere non solo l'agente di commercio, ma anche il distributore. 

Proprio sulla nozione di agente il Tribunale UE, con sentenza del 13 aprile 2011 (nel proc. T-262/09) ha ritenuto che: "I termini "agente" e "rappresentante" di cui all'art. 8 n.3 del Regolamento CE 2009/207 devono essere interpretati in senso ampio, per abbracciare ogni tipo di rapporto basato su qualsiasi accordo contrattuale ai sensi del quale una delle parti rappresenti gli interessi dell'altra, indipendentemente dal nomen juris del rapporto contrattuale intercorrente tra il titolare o il mandante e il richiedente il marchio comunitario, che sia atto a creare in rapporto fiduciario che imponga un dovere generale di agire in buona fede e lealmente con riguardo agli interessi del titolare del marchio (cfr. anche direttive sull'opposizione dell'UAMI). Viene comunque escluso che un semplice acquirente possa essere considerato agente o rappresentante ai fini dell'applicazione della norma.

La stessa sentenza, ha inoltre ritenuto che non è necessario che il rapporto tra le parti sia ancora in vigore al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio comunitario, ben potendo applicarsi ad accordi scaduti, purché il tempo trascorso abbia una durata tale da consentire di presumere ragionevolmente che l'obbligo di buona fede e di riservatezza fosse ancora esistente al momento del deposito della domanda di marchio comunitario.

Presupposti per la tutela sono dunque i seguenti:

  • essere titolare di un marchio anteriore; (prova che grava su chi invoca la tutela);
  • che il richiedente la registrazione di marchio comunitario sia o sia stato agente, inteso in senso ampio, o rappresentante del titolare del marchio (prova che grava su chi invoca la tutela);
  • che il deposito riguardi segni e prodotti identici o simili (prova che grava su chi invoca la tutela);
  • che non vi siano ragioni legittime che giustifichino la condotta dell'agente/rappresentante;(spetterà all'agente/distributore provare l'esistenza di una causa di giustificazione).

Mala fede del richiedente la registrazione 

Regolamento 2009/207/CE sul marchio comunitario
Direttiva CE 2008/95 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi di impresa
D.lgs. n.30 del 2005 Codice della proprietà industriale (CPI)

I diritti del fabbricante per il caso di registrazione illegittima da parte dei soggetti che a vario titolo operano ai fini della distribuzione dei suoi prodotti, possono essere tutelati invocando le norme comunitarie e/o nazionali dettate con riguardo alla registrazione in mala fede del marchio.

L'art. 52 del Regolamento 2009/207/CE prevede, su domanda presentata all'Ufficio o su domanda riconvenzionale in un'azione per contraffazione, che il marchio comunitario è dichiarato nullo se al momento del deposito della domanda il richiedente ha agito in mala fede.

La Direttiva 2008/95/CE e in particolare dall'art. 3, comma 2, lettera d, stabilisce che ogni Stato membro può prevedere che un marchio di impresa sia escluso dalla registrazione o, se registrato, possa essere dichiarato nullo se e nella misura in cui: [...] il richiedente abbia fatto in malafede la domanda di registrazione del marchio di impresa.

A livello nazionale, l'art. 19, comma 2, CPI prevede che "Non può ottenere una registrazione per marchio di impresa chi ne abbia fatto domanda in mala fede". 

La portata generica di queste norme ha portato a ricomprendere una molteplicità di casi, caratterizzati da un comportamento, non mera consapevolezza di violare l'altrui diritto, ma di abuso specificamente volto a pregiudicare le altrui legittime aspettative di tutela.

Le norme sulla registrazione in malafede consentono dunque al Fabbricante di tutelarsi anche nei confronti di figure diverse dall'agente nei Paesi, come l'Italia, in cui l'art. 6 septies CUP viene interpretato restrittivamente. 

A questo proposito si segnala che, il Tribunale Milano, con sentenza del 19/03/2012 ha ravvisato un'ipotesi di malafede e dunque ha dichiarato la nullità del marchio registrato dall'ex distributore ex art. 19 CPI in un caso in cui l'ex distributore italiano aveva depositato domanda di registrazione del marchio del Fabbricante in Italia, ben 5 giorni dopo la risoluzione del rapporto di distribuzione con il Fabbricante, rapporto di distribuzione durato solo qualche mese. 
In un altro caso interessante, il Tribunale di Bologna, con sentenza del 23/11/2007, ha così statuito: 

"La qualità di non semplice acquirente occasionale, ma quanto meno, di distributore del prodotto, qualifica come mala fede la registrazione del marchio effettuata dal distributore. La circostanza che il distributore ha immesso sul mercato italiano i prodotti del fabbricante per lunghi anni rende certa la sua mala fede all'atto della richiesta di registrazione del marchio del fabbricante a proprio nome e ciò non solo perché era a conoscenza delle legittime aspettative del fabbricante sul marchio, ma proprio anche perché per tale via era pienamente consapevole del fatto che ciò avrebbe danneggiato il fabbricant,  portando gli abituali consumatori a ritenere che altri in realtà avesse titolo di utilizzarlo, fatto particolarmente grave proprio per l'abuso che per tale via si compiva del precedente rapporto di collaborazione e quindi della specifica conoscenza anche della clientela italiana." (In questo caso il fabbricante ha ottenuto la declaratoria di nullità del marchio, l'inibitoria a carico del convenuto di qualsivoglia utilizzo del marchio stesso).

Quando si invoca la malafede del registrante l'onere probatorio è tuttavia maggiore in quanto occorre fornire la prova della mala fede che non può presumersi. 

Tale principio è stato ribadito di recente dalla Corte di Giustizia CE, con sentenza del 27/06/2013, nella causa C-320/12 "L'esistenza della malafede deve essere valutata complessivamente, tenuto conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie esistenti al momento del deposito della domanda di registrazione. Il fatto che il terzo sappia o debba sapere che un terzo utilizza un segno identico o simile per un prodotto identico o simile, non è di per sè sufficiente a provare la malafede di detto richiedente. Occorre prendere in considerazione inoltre l'intenzione del richiedente al momento del deposito della domanda di registrazione di un marchio, elemento soggettivo che deve essere determinato con riferimento alle circostanze oggettive del caso di specie (cfr. Corte di Giustizia CE 11/06/2009, C-529/07) 

Domain Names registrati dai propri agenti e distributori

I principi sopra esposti in materia di registrazione del marchio in malafede sono applicabili anche alla registrazione dei nomi a dominio da parte dei soggetti che si inseriscono nella fase di distribuzione dei suoi prodotti in virtù di rapporti di collaborazione con il produttore.
Tanto che il nome a dominio viene ormai pacificamente ritenuto suscettibile di entrare in conflitto con altri segni distintivi tipici in particolare con il marchio.

Già a livello di registrazione del nome a dominio, la maggior parte delle domain name registration Authorities, consentono di opporsi alla registrazione ed uso del nome a domino avvenuta in mala fede, sino ad ottenere anche il trasferimento del nome a dominio (ad es. ICANN ".com", NIC (.it) ecc....).

Per quanto riguarda poi il nome a dominio ".eu", lo stesso Regolamento Ce n. 874/2004, che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi relativi alla registrazione, indica tra le ipotesi di registrazione speculativa e abusiva del domain name "eu", che danno luogo alla revocazione della registrazione, anche la registrazione in mala fede.

Molte controversie tra fabbricanti e distributori per registrazione abusiva del domain name vengono risolte ricorrendo al servizio di mediazione e arbitrato della WIPO (World Intellectual Property Organisation), fermo restando il diritto ovviamente ad ricorrere all'autorità giudiziaria. Per questo, si rinvengono un maggior numero rese nell'ambito della procure adr della WIPO. 

Nell'ambito delle decisioni rese dalla WIPO, è stata ravvisata la malafede del distributore, nei casi di avvenuta cessazione del rapporto di distribuzione con il fornitore in quanto il distributore non aveva più alcun diritto o interesse legittimo ad usare il domain name (identico o confondibile con il marchio del fabbricante). La malafede è stata ravvisata pure nei casi in cui, pur in costanza del rapporto di distribuzione, il fornitore aveva chiaramente manifestato la propria contrarietà a che il distributore registrasse il marchio del produttore come domain name o come parte del domain name.

Diversamente, non è stata ravvisata la mala fede, ma è stato ritenuto sussistente un diritto o un interesse legittimo del distributore al domain name in presenza delle seguenti circostanze:

  • quando il distributore effettivamente vende i prodotti e/o i servizi in questione (in costanza del rapporto di distribuzione);
  • quando effettivamente utilizza il domain name per vendere i prodotti contraddistinti dal marchio del produttore e non solo altri prodotti;
  •  quando il distributore non abbia impedito al fabbricante/titolare del marchio di registrare anche altri domain name di primo livello, che pertanto possono ancora essere registrati dal fabbricante. (www.wipo.int/amc/en/domains/decisions)

Conclusioni

In conclusione, come si è visto anche per i marchi, sebbene vi siano degli strumenti di tutela "a posteriori", è importante chiarire sin dall'inizio del rapporto con la propria rete distributiva, con una clausola ad hoc da inserire nel contratto:

  • che il fabbricante non autorizza l'uso del proprio marchio o altri segni distintivi, come domain name e/o come parti di domain names da parte del distributore, al fine di avere buone possibilità di ottenere la tutela dei propri diritti, qualora il distributore dovesse ciò nonostante contravvenire a tale divieto.


Avv. Mariaelena Giorcelli

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