10 aprile 2019

Commercio internazionale e cambiamento climatico

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Nel dibattito sul cambiamento climatico poca attenzione è riservata al ruolo del commercio internazionale. Le potenzialità degli accordi bilaterali e multilaterali – e, in generale, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) – di supportare il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono notevoli, ad esempio, attraverso la rimozione dei dazi su beni e servizi ecologici o l’armonizzazione degli standard ambientali negli scambi tra Paesi.

Commercio internazionale e cambiamento climatico: “nemiciamici”

Eppure, storicamente ci si è mossi nella direzione opposta: la riduzione dei dazi e l’aumento dei sussidi sono stati superiori nei settori più inquinanti e a più alto impatto ambientale, come i combustibili fossili e l’allevamento animale, mentre i Free trade agreement (Fta) generalmente trascurano il tema delle emissioni di gas serra. Alcune menzioni, seppure ancora insoddisfacenti, si ritrovano nell’accordo Ue-Singapore, che riconosce la necessità di tenere in dovuta considerazione le emissioni inquinanti nella progettazione dei sistemi di sussidio, e nel Ceta, che consente alle parti di promuovere obiettivi e standard ambientali nelle specificazioni delle gare d’appalto.

Per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, il pianeta dovrebbe eliminare 42 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2 entro il 2050, attraverso l’utilizzo prioritario di energie rinnovabili, la sostituzione dei motori a combustione interna di tutte le auto oggi presenti nel mondo con alternative meno inquinanti, e così via. 

A inizio 2019, 184 dei 197 Paesi firmatari, che rappresentano il 97% delle emissioni globali, avevano ratificato l’Accordo di Parigi. I risultati raggiunti, tuttavia, sono a oggi insufficienti, anche a causa degli obiettivi poco ambiziosi imposti a livello nazionale o regionale e del ritiro (esplicito o de facto) di alcune economie chiave, come Stati Uniti, Australia e Brasile.

Le conseguenze economiche, oltre che ambientali e sociali, del cambiamento climatico si riverserebbero in particolare sui Paesi in via di sviluppo in Africa, America Latina e Asia, più vulnerabili ad alterazioni della catena di fornitura, trasporto e distribuzione, soprattutto nel settore primario. La dipendenza di alcuni di questi Paesi dall’export di materie prime agricole e danni relativamente maggiori dovuti al cambiamento climatico potrebbero portare a una modifica dei vantaggi comparati di queste economie, modificandone la struttura degli scambi con l’estero e indebolendone la bilancia commerciale.

L’interazione tra politiche commerciali e politiche climatiche è dunque indispensabile per raggiungere gli obiettivi di preservazione ambientale. Da un lato, le regole e gli accordi che disciplinano il commercio tra Paesi possono favorire la diffusione di beni e tecnologie sostenibili; dall’altro, azioni più incisive in favore dell’ambiente richiedono una revisione delle normative domestiche che a loro volta possono avere effetti significativi sugli scambi. È quindi necessario che le misure e le leggi emanate a livello nazionale per combattere l’inquinamento siano armonizzate con le regole e i requisiti dei Fta e dell’Omc. Ad esempio, il principio di non discriminazione impone che i prodotti importati siano trattati nello stesso modo dei prodotti locali, rendendo complessa la distinzione tra beni in base a fattori quali la carbon footprint; inoltre, alcuni provvedimenti come i border carbon adjustment, potrebbero essere usati “impropriamente” e di fatto agire come misure protezionistiche. Si tratta di questioni che necessitano di essere approfondite, anche al fine di comprendere quali siano gli strumenti adeguati da implementare per evitare distorsioni. Di questi aspetti, insieme ad altri più noti, dovrebbe discutersi nell’ambito più ampio del processo di riforme auspicate per un miglior funzionamento dell’Omc.

Le opportunità per favorire flussi commerciali in linea con gli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico sono numerose.

Tra queste: la rimozione delle barriere tariffarie e non tariffarie su beni e servizi a basso impatto ambientale, la limitazione dei sussidi ai combustibili fossili e ad altre industrie altamente inquinanti, l’approvazione di sussidi non discriminatori sulle energie rinnovabili, l’implementazione di border carbon adjustment e la promozione del green procurement da parte degli enti pubblici. Nell’attesa che l’approccio multilaterale, ovvero il confronto tra i Paesi in sede Omc, torni a essere lo strumento attraverso il quale stabilire regole condivise a livello globale, i Fta potrebbero iniziare a incentivare i Paesi nella creazione di un quadro di cooperazione internazionale in materia di politiche per il clima, rafforzando la volontà delle parti nel promuovere regolamentazioni più stringenti, anche a sostegno dei Paesi meno sviluppati.

Gabriella Baldassarre
 

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